Un riassunto di me

Beatrice Luzzi - Porto Cervo 1971
09/08/2023

Un riassunto di me

Sono la terzogenita e ho sempre avuto la sensazione di essere arrivata un po' per caso, fuori tempo massimo. Ho comunque avuto un’infanzia intensa, piena di stimoli e allegria. Abbiamo fatto tanti viaggi, ogni estate andavamo nella nostra casa in Sardegna da giugno a settembre, allora Porto Cervo era una palude, non vi erano né strade né acqua, spesso l’elettricità veniva a mancare e soprattutto non vi erano né alimentari né tantomeno supermercati, né telefoni… Ho sempre ammirato molto i miei genitori per questa scelta coraggiosa. Mia madre si trasferiva lì con noi tre per l’estate intera, in un luogo selvaggio, come un Far West da conquistare… e andavamo lungo sentieri di campagna dalle contadine sarde a comprare una caciotta e quattro zucchine. Ricordo che allora la frutta e verdura del territorio era pessima… Poi in agosto arrivava mio padre montava il gommone, lo lasciava scivolare in acqua (adesso è impossibile perché hanno costruito moli per megayacht sotto casa), e partivamo per giornate di 10/12 ore in mare, sbattuti dalle onde e schiaffeggiati dagli schizzi di maestrale, alla scoperta di scogli e baiette, armati solo di costumi e panini, e razzi di emergenza. Non esistevano i cellulari e per mare non passavano molte barche. Insomma, vita selvatica, tanto coraggio e libertà. Credo che questa impronta sia quella che ha segnato e forgiato di più il mio carattere che definirei proprio così un po' selvatico, coraggioso, libero. Una libertà che non significa disimpegno, anzi, ho purtroppo un innato e profondo senso di responsabilità, è una libertà però che mi permette, quando vedo che le cose non girano, di cambiare lo schema, di uscirne, anche senza avere certezze.

Ero una bambina molto molto allegra, con una risata dirompente famosa nel condominio e citata anche nelle pagelle scolastiche (“bambina troppo ilare”). Con la mia amichetta del cuore, Lucilla, alle elementari eravamo inseparabili. Molto sportive, lei più di me, facevamo sempre giochi pericolosi e da maschiacci. Ripenso sempre con orrore al fatto che saltavamo (mio dio quanti pochi controlli negli anni ’70) saltavamo da una ringhiera delle scale esterne alla scuola (la Zandonai di Vigna Clara a Roma) atterrando sul cemento armato del giardino… da pazzi! Poi andavo spesso da lei: la sua mamma cucinava benissimo e con affetto, e io mi installavo da loro per giorni interi, soprattutto d’estate visto che abitavano in un condominio con piscina. Passavamo ore in acqua. Decisamente l’acqua è un elemento che ho molto frequentato da piccola, in piscina da lei ma soprattutto in Sardegna, ero capace di passare anche 5, 6 ore di seguito in acqua. Ho fatto anche nuoto a buoni livelli da bambina, oltre a pattinaggio artistico, basket, pallamano, scii, danza classica e moderna… non mi sono fatta mancare niente.

A scuola andavo bene con il minimo sforzo visto che in casa avevo una professoressa e un fratello e una sorella più grandi che mi trasmettevano “sapere gratis”. Non mi sono mai sforzata troppo, ottenevo facilmente buoni risultati, e anzi avevo sempre la sensazione di annoiarmi un po'; soprattutto al liceo, 5 anni sono decisamente troppo lunghi. Andavo al Mamiani, ma nella seconda metà degli anni ’80 era una scuola decadente, i professori e il preside erano tutti ormai anziani, i grandi ideali e le spinte anni ’70 erano finite, ed erano rimaste slogan e manifestazioni prive di sentimento, parole vuote. Molte giornate di sciopero le abbiamo buttate nei cortili di scuola o in qualche parco attiguo. Però è lì che ho cominciato a recitare, al laboratorio teatrale del mitico Sean Patrick Lovett, del mio gruppo facevano parte Gabriele Muccino, Antonio Manetti, Gaia Aprea, Carola Spadoni, Daniele Silvestri faceva le musiche degli spettacoli… solo per citarne alcuni. Ho fatto una intensa vita di gruppo dai 14 ai 20 anni, un gruppo di amici molto stretto con cui ho condiviso ogni giorno, un gruppo di amici che ancora ho ma con i quali mi sono resa conto di non condividere più una visione, tranne che con Melania, con lei siamo sempre al passo, e poi è la mia memoria storica, lei ricorda ogni evento, io nessuno. La mia visione è stata forgiata dai tanti ambienti disparati e lontani che ho frequentato incessantemente spinta dalla curiosità e dalla voglia di rompere gli schemi. Cresciuta in un ambito borghese di matrice cattolica e progressista (mi sono divertita enormemente agli scout), mi sono innamorata follemente a 18 anni di un ragazzo di borgata, figlio di una pescivendola, che mi trasmetteva romanità, sincerità, “core”, una visione meno mediata, meno intellettuale, della vita, dei sentimenti, delle situazioni.

Naturalmente dopo due anni la cosa è esplosa anche perché io cominciai a lavorare in Rai, appena ventenne, in radiorai. Lì subii pesanti molestie sessuali che stupidamente non condivisi con la famiglia. Per liberarmi di questo capostruttura che si diceva innamorato pazzo di me (pazzo sicuramente lo era) andai a rifugiarmi d’inverno nella mia casa in sardegna ma lì un giorno, mentre studiavo con il camino e la stufa accesa, nel nulla di una spettrale porto cervo invernale, me lo vidi apparire alla porta finestra…. Non dimenticherò mai la paura che provai. Questo pazzo aveva assunto un investigatore privato spacciandosi per mio padre e mi aveva rintracciata. Fu un momento terribile. Naturalmente a quel punto, chiamai la polizia, ne informai i mei e ce ne liberammo; ma senza denunce o simili… col senno di poi invece…

Tornai a Roma continuai a studiare e partii per Bruxelles con Erasmus. Non credo di essermi mai divertita tanto come quell’anno all’Université Libre de Bruxelles, era il 1993, avevo 22 anni. Conobbi Sara e suo fratello, figli di un diplomatico italiano e cresciuti lì. Con loro passai giornate ma soprattutto nottate di divertimento folle, in una Bruxelles cosmopolita stimolante, accogliente e libera, nei costumi e negli orari. Imparai il francese come si impara una lingua del cuore e ancora adesso riesco ad esprimere i miei sentimenti meglio in francese che in italiano. Mi fermai poi un altro anno lì come stagiaire presso la Direzione Generale Aiuti Umanitari della Commissione europea. Giunsi alla conclusione che gli aiuti umanitari erano uno dei tanti anelli della catena di sfruttamento di alcuni paesi verso il resto del mondo e che se volevo continuare in quel campo avevo solo due strade: la missionaria o la mercenaria. Anzi no ve ne era una terza restare in ufficio a fare e passare firme su firme per i 30 anni a venire. Me ne tornai a Roma (senza macchina perché la lasciai accartocciata sotto un autobus belga… una delle varie macchine che ahimè ho distrutto… questo è un tema delicato… ho sempre fatto incidenti con o senza auto e mi sono rotta più volte… testa, braccia, piedi… una vita spericolata… Solo da quando sono diventata mamma sono riuscita a diventare più prudente). Finii l’università e mi laureai con lode con una tesi sulla prospettiva di genere nell’aiuto allo sviluppo (in sostanza si diceva di insegnare alle donne ad usare i pozzi di acqua costruiti dall’occidente, perché tanto erano loro ad occuparsi dell’approvvigionamento dell’acqua; di insegnare alle donne, e non agli uomini, le norme igienico-sanitarie, perché tanto erano loro ad occuparsi della cura di figli e animali… e così via). Portai la tesi qua e là dal Ministero degli Esteri alle ong femministe, financo alla Bonino che era allora commissario europeo, ma restai molto molto delusa, dall’egoismo del sistema e della mentalità italiana, dall’incapacità di valorizzare i giovani, dal fatto che poi la mia tesi me le ritrovai para para esposta in un workshop internazionale da un’altra persona. La stessa delusione di quando mi ritrovai il copione di Pippi Calzelunghe, che avevo portato a Proietti perché lo realizzassimo al Brancaccio, messo in scena dalle sue figlie escludendo me. Ma questo è un altro campo e un’altra vita.

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